lunedì 25 ottobre 2010

Annunci gay

Prenderlo in culo da un maschio come questo deve essere eccitante. Ci sono annunci di uomini che cercano sesso e che mettono foto come queste...poi li incontri e vedi che hanno la pancia e sono calvi...di prenderlo in culo lo si prende lo stesso perchè non si butta via niente, però che delusione...

giovedì 21 ottobre 2010

Culo gay inculato

Guardate che bella foto amatoriale di un culo inculato vi ho trovato, davvero un bel culo degnamente onorato da un bel cazzo che lo sfonda e lo stantuffa. Peccato per il preservativo, un paricolare che rovina in parte una così bella foto.

giovedì 14 ottobre 2010

Tanta voglia di sesso

Un bel racconto di sesso gay e sugli incontri sessuali che è facile fare...

Stavo studiando, o meglio ero seduto alla mia scrivania davanti al libro,
quando il campanello suonò facendomi prendere uno spavento. Fu come un
brusco strattone datomi dalla realtà: allora mi alzai dalla sedia per
correre in bagno a guardarmi allo specchio. Ero tutto spettinato, la barba
lunga di due giorni ed ero vestito ''da casa'', cioè con dei jeans vecchi,
una felpa ancor più vecchia e sopra una camiciona a scacchi da montagna. E
fuori poteva esserci il postino, oppure qualcuno che era venuto a trovarmi,
oppure di peggio... Tutto ciò sembrava tanto la storia della mia vita: una
perenne attesa, mal vestita, di qualcuno che quando arrivava ti coglieva
sempre impreparato e quindi ti lasciava subito dopo.


Ormai era passato parecchio tempo dalla scampanellata e dovevo per forza
uscire sul terrazzo in quella metà mattina, mentre me ne stavo tranquillo a
casa mia, senza nessuno che mi controllasse, a vagabondare con la mente e a
far finta di studiare... ingannando anche me stesso.
Cercai di dimenticare il mio aspetto impresentabile, aprii la porta e uscii
sul terrazzo: il tipo, un giovane venditore ambulante di colore, stava
guardando verso gli altri appartamenti. Aveva evidentemente suonato tutti i
campanelli per vedere se almeno qualcuno avrebbe avuto la gentilezza di
rispondere. Io ero l'unico che era uscito. Considerai per un attimo se
svignarmela, ma ebbi pietà e dissi:
'' Sì? ''
Lui allora voltò la testa e guardò dalla mia parte, sorridendo e aprendo la
borsa.
'' Compri qualcosa ? ''
Vedevo la chiostra di denti bianchi che risaltava sul nero assoluto della
carnagione e dei capelli cortissimi. Sembrava anche simpatico, così a prima
vista. E anche un bel ragazzo, mi sorpresi a pensare. Alto sul metro e
ottantacinque, robusto.
'' No '', gli dissi. '' Non mi serve niente ''. Si dice sempre così.
'' Dai, per piacere, compra qualcosa. C'è roba buona ''.
'' No, veramente, scusa, ma non mi serve niente '', ribattei. Stavo per
girarmi e tornare dentro, quando ebbi ancora un moto di pietà (o
qualcos'altro: adesso me lo chiedo) e gli proposi:
'' Se vuoi ti posso dare qualche euro... ''
'' No! '' smise di sorridere. '' Io non accetto carità! ''
'' Ok, va bene, allora ciao '', lo salutai, ma non ebbi il tempo di
voltarmi perchè lui disse ancora con un tono stavolta molto meno duro di
prima:
'' Però ho fame... Mi dai qualcosa da mangiare? ''
Io non risposi; seguitai però a guardarlo e intanto pensavo che non avevo
mai aperto a nessuno di loro, ma che era affabile e non troppo invadente.
Notai anche che nessuno degli altri inquilini era ancora uscito fuori, e
inoltre nessuno passava sulla stradina di periferia dove è situato il mio
palazzo. Ad un tratto mi tornò in mente tutta la pornografia che inquinava
il mio cervello e la mia anima, e mi sorpresi a pensare al suo sesso. Sesso
nero: ne avevo visti di enormi, in foto. E chissà se anche quel ragazzo...
Soggiogato da questi pensieri, col cuore che già correva a mille, dissi un
''sì'' strozzato e andai ad aprirgli la porta.
Lo aspettai in cima alle scale: lo vidi salire portandosi faticosamente
appresso la borsa, con la sua chiostra bianca di denti di nuovo in mostra.
Sorrisi molto imbarazzato, e non parlai per non far rumore ed evitare che
gli altri inquilini del palazzo sapessero che l'avevo fatto entrare, se
c'era davvero qualcuno a casa quella mattina.


Richiusi svelto la porta alle sue spalle, e mi domandavo perchè mai stessi
prendendo tutte quelle precauzioni visto che non stavo facendo niente di
male. Era una buona azione che gli altri non avevano il coraggio di
compiere, mi ripetevo. Ma dentro di me si era già accesa una maledetta
lampadina, e io la conoscevo bene: per una volontà debole come la mia
quell'idea era quasi impossibile da spegnere.
Lo feci accomodare e poi presi del pane e del prosciutto dal frigo e gli
feci un panino. Mentre tagliavo il pane gli davo le spalle: ero in piedi
mentre lui si era accomodato al tavolo della cucina. La sua borsa era posata
vicino alla sedia.
Non sapevo bene cosa dire, ed ero tormentato dai dubbi su quello che stavo
facendo. Ma in mezzo al mare continuava ad avanzare, inarrestabile, la pinna
di uno squalo... un pensiero cattivo: peni enormi, neri come la notte, dai
larghi glandi color amaranto, che entravano, allargavano, infilzavano,
impalavano e poi spruzzavano litri e litri di liquido bianco su facce
estasiate dal diluvio latteo. Presi tempo anche con me stesso: mentre
mangiava gli chiesi da dove veniva (''Zambia'') e notizie su come si era
sistemato qui (''dormo in una stanza con altri due amici''). Si chiamava
Oumou. Verso la fine del panino cominciò lui a chiedere di me, così apprese
che avevo già trent'anni ma che studiavo ancora. Ora il panino era finito e
lui si stava già alzando in piedi per andarsene.
''Ora o mai più'', pensai. Sapevo che stavo facendo la cosa più sbagliata
del mondo, ma un'occasione così chissà quando mi sarebbe ricapitata. La
parte di me ancora saggia pensò: ''Sì. l'ultima occasione, ma per degradarmi
al grado zero! Pensa ai tuoi genitori, pensa ai tuoi amici, pensa! '' Il
cuore scoppiava, il respiro era corto, non sapevo dove guardare... ma
qualcosa mi muoveva, qualcosa di invincibile, qualcosa di ineludibile come
un coltello ben conficcato nella mia schiena.
''Senti... Io non voglio farti la carità. Però i soldi ti servono. Che ne
dici di fare qualcosa per me e io poi ti pago?''
'' Un lavoro? '', i suoi occhi si illuminarono. Non aveva ancora capito
bene.
'' Diciamo così...'', dissi. Ero molto imbarazzato: la voce mi tremava,
sapevo che sbagliavo eppure una forza irresistibile ancora mi spingeva e non
avrebbe smesso mai, fino al soddisfacimento del suo bisogno.
'' Io... ho una curiosità '', gli dissi riuscendo finalmente a guardarlo in
faccia. '' Voglio sapere se... ce l'avete così grande come dicono tutti '',
e mi torcevo le mani mentre lo dicevo. Ecco, il dado era tratto. Ora non
potevo più tornare indietro.
Udendo le mie parole il sorriso si spense sulla bocca e disse:
'' Ah... Non era un lavoro, allora. Vuoi sesso. Sei frocio tu? ''
Io frocio. Due parole che non dovrebbero mai essere messe vicino. Però me
l'ero domandato anch'io migliaia di volte. Così mi affrettai a rispondere
quello che dicevo anche a me stesso, e negai:
'' No! E' solo curiosità. Perdona se te l'ho chiesto, scusa ''.
Ecco fatto, almeno avevo provato: avevo fallito e ora mi sentivo una merda.
'' Ora vai via, però '', gli dissi. Avevo fretta di liberarmene e pensare a
qualcos'altro, qualcosa di positivo che risollevasse la mia autostima.
Ma quando alzai lo sguardo dalla mattonella che stavo scrutando per evitare
di guardarlo in volto, vidi che, in piedi a gambe divaricate, si slacciava i
pantaloni. Non ebbi la prontezza di spirito per fermarlo, forse perchè il
mio spirito non voleva certo fermarlo.
La mia bocca si aprì un po' quando lo vidi abbassarsi i boxer bianchi
all'altezza delle ginocchia dove stavano anche i suoi jeans impaccati: stava
mettendo in mostra un biscione incredibile, che andava gonfiandosi ma che
pendeva ancora verso il basso dato il notevole peso, e oscillava di qua e di
là come un pendolo che stregava la mia volontà.
'' Ti piace, vedo '', mi disse. '' Quanto mi dai ? ''
'' Tutto quello che vuoi se me lo lasci toccare '', risposi mentre facevo
qualche passo verso di lui. Non sapevo nemmeno che cosa stavo dicendo: gli
avrei promesso anche di essere suo schiavo se mi avesse lasciato prendergli
in mano quella mazza nera anche un solo istante.
'' Toccalo pure, allora, '' disse.
Io ero già vicino: glielo afferrai alla base con la mano destra. Era
caldissimo e ancora morbido: sentivo pulsare le sue vene e presto la mia
mano non sarebbe più riuscita a circondarlo tutto. Lo sollevai e poi lo
presi anche con la sinistra, più vicino alla cappella.
'' E'... stupendo... '', mormorai. Lui sorrise. Io cominciai ad
accarezzarlo facendo scorrere le due mani a cilindro sul cazzo. Ora Oumou si
stava davvero eccitando e ce l'aveva duro come il ferro: lo lasciai andare
e, miracolo, quella colonna nera se ne stava eretta da sola. Erano
venticinque centimetri a dir poco.
A questo punto lo afferrai deciso e lo masturbai, guardando quel serpente
boa nero andare e venire fra le mie mani. Oumou taceva e, quando ebbi il
coraggio di guardarlo, vidi che aveva socchiuso gli occhi e che sorrideva.
Ebbi l'impulso di baciarglielo, e fu in quel momento che realizzai che il
suo odore non era dei migliori. La pulizia di Oumou non era delle più facili
da mantenere, viste le condizioni di vita, e oltretutto in quella mattina di
primavera faceva già caldo e il sudore di un nero ha un odore decisamente
penetrante alle nostre narici.
'' Oumou '', gli dissi, '' vieni in bagno ''. Non ebbi bisogno di
spiegargli altro. Lo condussi verso il bagno trascinandolo per il fallo,
come se fosse stato un asino alla cavezza. Quando passai davanti allo
specchio del salotto, e vidi che mi trascinavo dietro un ragazzo nero
tenendolo per il pene, mi resi conto sia del fatto che mi stavo mettendo in
un guaio e che la mia coscienza mi avrebbe impedito per sempre di vivere in
pace, e sia che volevo lavarglielo alla svelta e tornare davanti allo
specchio per guardarmi mentre glielo succhiavo. Il solo pensiero riuscì a
farmi avere un erezione istantanea, tanto che presi a massaggiarmi il pube
attraverso i pantaloni.
Giunti in bagno feci scorrere l'acqua e, trovata la giusta temperatura, gli
avvicinai il fallo al getto. Notai che il color carbone risaltava ancor più
sullo sfondo della ceramica bianca del lavabo. Lo
insaponai con una mano e iniziai a strofinarlo in tutta la sua incredibile
lunghezza, ricoprendolo di schiuma calda e confortevole. Non potei resistere
oltre: abbassai pantaloni e mutande e con la sinistra mi masturbai
furiosamente mentre proseguivo in quella che, iniziata come opera di
pulizia, si stava trasformando in una sega vera e propria. Speravo che Oumou
mi avrebbe toccato, ma invece si limitò a guardarmi e a sorridere.
Poi smisi, perchè continuando l'avrei fatto venire direttamente sul
lavandino e non era il caso, visto che volevo godermelo ancora. Lo
risciaquai e poi, afferrato il mio asciugamano personale, gli tamponai il
sesso delicatamente, asciugandolo in ogni suo dove con la stessa delicatezza
e rispetto che avrei adoperato per un oggetto di cristallo. Gli dissi di
andare ad aspettarmi in salotto e intanto mi denudai.


Quando mi ripresentai, Oumou stava guardando dalla finestra il panorama dei
campi coltivati che si vedevano da dietro la mia casa. Mi dava la schiena:
non si era proprio preoccupato di alzarsi i pantaloni, per fortuna, e
osservai per un attimo le natiche dure dai muscoli contratti. La mia
immaginazione, però, tornò immediatamente a concentrarsi sul suo uccello,
che potevo vedere riflesso in parte nel grande specchio appeso alla sua
destra. Mi tornò in mente ciò che avevo pensato prima quando conducevo Oumou
a lavarsi, e così, nudo, senza far rumore, lo raggiunsi da dietro e gli
cercai subito il cazzo con le mani. Mi ero aspettato di trovarlo ammosciato
ma, incredibile a dirsi, ce l'aveva ancora durissimo. Assaporai il contatto
dei palmi con la pelle del pene che, appena lavata, aderiva perfettamente
alla mia pelle. Era un contatto meraviglioso, mi veniva quasi da piangere
per la felicità mentre lentamente lo masturbavo a due mani con la testa
appoggiata contro la sua schiena: potevo sentire sui palmi delle mani ogni
più piccola venuzza e nodosità di quel fallo prodigioso. E così, con il
cervello e la forza di volontà stravolti dal desiderio, decisi di appagare
l'ultima e la più grande delle mie fantasie.
Gli chiesi di girarsi, cosa che eseguì docile. Però poi disse:
'' Io non ti tocco, e non mi hai ancora detto quanti soldi mi dai ''.
Solitamente con i soldi non scherzo, ma mentre mi diceva queste parole io
ero sempre intento a massaggiargli il sesso, concentrato solo su di esso e
sulle sensazioni fantastiche che mi dava il tenerlo in mano. Però non
intendeva continuare se non gli avessi dato quello che voleva. A malicuore
lo dovetti lasciare per qualche secondo, e mentre tornavo in camera mia per
prendere il portafoglio, già sentivo che mi mancava il contatto con quel
tarello di carne nera. Mi sbrigai, e perso ogni controllo, svuotai sul
tavolo del salotto tutti gli euro che avevo, senza neanche contarli. Lo fece
lui, al posto mio, mentre io mi inginocchiavo il più veloce possibile
davanti alle sue gambe divaricate e riprendevo possesso di quell'autentica
spada sguainata. Non volevo, infatti, che giudicasse i soldi troppo pochi e
mi allontanasse prima che potessi toccarlo di nuovo.
Non riuscivo a vedermi allo specchio, così cercai di sistemarlo in maniera
che fosse di profilo mentre contava il denaro. Gli afferrai il pene turgido
come se avessi in mano il bastone del potere, e poi lo guardai dal basso
verso l'alto in attesa del verdetto.
'' Sono pochi '' disse. Forse fu il mio sguardo mortificato e implorante,
forse fu che aveva voglia di stare ancora un po' a casa mia, o forse voleva
solo farmi soffrire, ma dopo pochissimo aggiunse:
'' Ma per stavolta va bene. ''
Non aspettavo altro. Sempre tenendolo ben saldo con entrambe le mani,
avvicinai il viso e sentii stavolta il buon profumo del sapone. Non pensai
ad altro: gli slinguai il glande color caffelatte, assaggiando le goccioline
di eccitazione che erano uscite e che avevano un gusto più aspro delle mie.
Poi chiusi gli occhi e aprii la bocca più che potei, avanzando lentamente
finchè, quando la richiusi, avvertii la punta del sesso quasi nella gola. Lo
assaporai per un attimo, poi ci giocai con la lingua e infine presi a
muovermi con la testa sempre più velocemente avanti e indietro lungo l'asta
nera. Quello che mi fece uscire definitivamente di senno fu l'aprire gli
occhi e osservarmi nello specchio mentre, nudo, ero inginocchiato davanti ad
un negro e gli succhiavo la mazza enorme come se mi avesse dato in bocca un
gigantesco e dolce lecca-lecca. Vedermi così umiliato mi esaltò per
contrasto: volli percorrere la scala della degradazione fino in fondo e così
impazzii... feci uscire dalla bocca il suo pene, l'osservai un attimo che
luccicava per più di un quarto a partire dal glande a causa della mia
saliva, poi me lo strofinai sulle guance, sulla fronte, mi diedi dei colpi
con esso sugli occhi e sul naso, lo tenni alzato e leccai i suoi testicoli
immensi e glieli tenni in bocca, sentendolo finalmente guaire come un
cagnolino.
Me lo rimisi in bocca per quanto riuscii a farlo entrare, e intanto, preso
da una voglia di godere irrefrenabile, mi menai il cazzo eccitatissimo e
bagnato di umori come non mai. Lo sbocchinai abilmente tanto che il
silenzioso Oumou, col respiro spezzato, mi disse che lo succhiavo davvero
come le ragazzine del suo paese, ero davvero bravo. Ma il cuore mi batteva
in gola e la pressione alzata dall'eccitazione, dal pericolo che correvo e
dalla degradazione a cui mi esponevo, mi rendeva quasi sordo tanto che le
sue parole le sentii come se provenissero da molto lontano. Alla fine venne
colto da un tremito che partì dalle gambe e si trasmise alle natiche che
avevo afferrato con una mano, mentre l'altra la usavo per masturbarmi. Io
godetti per primo, schizzando di sperma il tappeto ad una distanza
incredibile, e subito dopo Oumou venne. Io ebbi l'unico lampo di
intelligenza dell'ultimo quarto d'ora quando lo feci uscire dalla bocca e lo
masturbai perchè mi venisse in faccia, ma senza bere niente: era uno
sconosciuto, e veniva dall'Africa. Di sensi di colpa di tutti i tipi ne
avrei dovuti sopportare a bizzeffe nei giorni seguenti, senza che ci dovessi
anche aggiungere la preoccupazione di essermi preso l'Aids.
Fu così che venne con una forza che cancellò tranquillamente il ricordo del
mio orgasmo più copioso e devastante, spruzzandomi sul viso, la bocca e i
capelli otto-nove fiotti di sperma più corposo e chiaro del mio. Ebbi il
riflesso di chiudere gli occhi per non venirne accecato. Li riaprii quando
lo sentii sfregare il suo sesso ormai calmo contro la mia spalla, per
pulirselo dello sperma residuo, sperma che cominciavo a sentir colare dal
viso sul corpo in rivoli abbondanti.
Oumou si rialzò i boxer e i pantaloni e si mise in tasca i soldi; riprese
la borsa e, sulla soglia di casa, mi disse:
'' Arrivederci. Se mi vuoi ancora mi trovi la sera al bar Milano in
centro.''
Io, svuotato dall'orgasmo ed ancora inebetito, non mi mossi di un centimetro
e non dissi una parola. Chissà che spettacolo orrendo devo essere stato!
Dopo una ventina di secondi, sempre in ginocchio vicino allo specchio con
la schiena piegata all'indietro, ebbi il coraggio di guardarmi: il mio volto
era una maschera di sperma, come pure il mio corpo; ero spettinato, con i
capelli schizzati di bianco e gli occhi che non mostravano la minima
espressione. Un sacco vuoto.
Mi ripresi pian piano, raddrizzando la schiena e alzandomi faticosamente in
piedi. Era tutto finito, mancavano venti minuti all'arrivo dei miei dal
lavoro e dovevo darmi da fare se volevo ripulire il tappeto da quel macello
che l'aveva inzaccherato. Ma una cosa non avrei mai potuto ripulire: lo
sapevo anche prima di iniziare, ma adesso ne ero conscio perfino
dolorosamente... la coscienza, quella non mi avrebbe dato tregua.
Carezzai per un attimo l'idea di non muovermi, di affondare in maniera
definitiva e completa nel più totale abisso: aspettare che i miei tornassero
e mi trovassero nudo e pieno di sperma. '' Questa è la pazzia, muoviti
adesso o rassegnati alla camicia di forza '', mi dissi e, per fortuna,
qualcosa nel mio cervello si mosse e comandò al corpo di fare altrettanto.
Mi avvicinai ancor più allo specchio e vidi cos'ero: un parassita che viveva
alle spalle dei suoi genitori e che sperperava i loro soldi per succhiare il
cazzo ai negri.
E quel che è peggio è che ne avevo ancora voglia.